1. Il caso

Il Magistrato di Sorveglianza di Verona ha riconosciuto il diritto del detenuto a stare in un carcere vicino alla famiglia.

Il Giudice ha infatti accolto il reclamo di un detenuto che chiedeva di essere trasferito in un istituto di pena più vicino alla famiglia.

Il reclamante era stato processato  per la detenzione di un grosso quantitativo di cocaina e definitivamente condannato.

Nonostante la richiesta di essere collocato in un carcere calabrese, era stato assegnato per l’espiazione della pena ad un carcere del nord Italia.

1.1 La richiesta ed il silenzio dell’Amministrazione penitenziaria

Ristretto nel Nord Italia,  aveva così chiesto al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, per il tramite del proprio difensore, avv. Adele Manno del foro di Catanzaro, di poter espiare la pena in un carcere vicino alla famiglia, residente in Calabria.

La detenzione dapprima in Friuli Venezia Giulia e poi nel Veneto, infatti, gli impediva di coltivare le sue relazioni familiari.

La situazione risultava ancor più grave per l’esistenza di due figli minori.

I piccoli, infatti, erano privati  del rapporto visivo con il padre, mentre i colloqui telefonici risultavano ostacolati dal fatto che venivano effettuati in orario scolastico.

2. L’intervento del Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza della regione Calabria

Sulla questione, su sollecitazione della Difesa,  era intervenuto anche il Garante dell’Infanzia e degli adolescenti della regione Calabria, cav. dr. Antonio Marziale

Il Garante, con grande sensibilità, aveva sollecitato il Dap affinché applicasse la normativa di riferimento, ma neanche questo era valso a sortire una risposta.

3. Il reclamo al Magistrato di Sorveglianza competente

3.1 Attesa l’inerzia del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il suo difensore proponeva reclamo al competente Magistrato di Sorveglianza.

Si evidenziava  la lesione del diritto soggettivo del detenuto ad effettuare regolari colloqui  con la propria famiglia, con grave pregiudizio per i figli ancora in tenera età, ai quali di fatto veniva precluso di coltivare il rapporto con il padre.

Ciò era in palese contrasto con le norme dell’ordinamento penitenziario ed i protocolli stipulati tra il Ministero della Giustizia e l’Autorità Nazionale Garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Risultava altresì   violata la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che, all’art. 8, riconosce e protegge il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

L’ingerenza nella vita familiare, infatti, secondo la Cedu , non solo deve essere prevista dalla legge, ma deve essere proporzionata e necessaria per tutelare altri beni giuridici fondamentali a protezione della collettività.

3.2

Il Magistrato di Sorveglianza, nella recente ordinanza, ha accolto  il gravame, su conforme parere del Pubblico Ministero,  ed ha affermato  importanti principi, primo fra tutti il riconoscimento del diritto soggettivo del detenuto ad essere collocato in un carcere vicino alla residenza della famiglia.

4. Le questioni giuridiche

4.1 L’ordinanza è pregevole per una serie di ragioni.

In primo luogo perché afferma l’obbligo dell’Amministrazione penitenziaria di rispondere alle richieste di trasferimento del detenuto.

L’art. 42 dell’ordinamento penitenziario (www.normattiva.it), infatti, all’ultimo comma prevede che “sulla richiesta di trasferimento da parte dei detenuti e degli internati per ragioni di studio, di formazione, di lavoro, di salute o familiari, l’amministrazione penitenziaria provvede, con atto motivato, entro sessanta giorni”.

Troppo spesso, invero, le richieste dei detenuti  rimangono senza adeguate risposte.

4.2  Gli articoli 14 e 42 l. O.P.

Rileva altresì il Giudice che l’art. 14 O.P., come modificato dal dlgs. 123/2018  (https://www.normattiva.it)  a differenza che in passato, un vero e proprio diritto soggettivo del detenuto a vedersi assegnato ad un istituto che sia il più prossimo possibile alla residenza della famiglia,  in conformità con le regole penitenziarie europee (art. 17).

Da tale panorama normativo il Magistrato di Sorveglianza fa correttamente discendere l’obbligo da parte dell’amministrazione penitenziaria di motivare efficacemente laddove intenda derogare al rispetto di tali norme.

Richiama altresì giurisprudenza della Cedu (https://hudoc.echr.coe.int) che riconosce come la collocazione in un carcere a distanza di 2000 km distante dal luogo di residenza dei familiari sia una forma di ingerenza eccessiva sulla vita privata e familiare del detenuto, pregiudicando il mantenimento dei legami familiari.

L’ordinanza è pregevole poiché afferma, in maniera netta ed inequivocabile, taluni importanti principi, così riassumibili:

  1. il detenuto ha diritto ad ottenere risposta dall’Amministrazione Penitenziaria;
  2. il detenuto ha diritto ad essere ristretto vicino alla propria famiglia;
  3. Il Magistrato di Sorveglianza può intervenire allorquando l’Amministrazione Penitenziaria rimanga inerte;
  4. Il Magistrato di Sorveglianza può obbligare ad una risposta l’Amministrazione Penitenziaria, la quale deve attenersi ai principi da lui indicati.
  5. L’Amministrazione penitenziaria può esercitare il proprio potere discrezionale nei limiti della cornice normativa che delinea quali siano i diritti fondamentali del detenuto
5. Conclusioni

L’avv. Manno ha dichiarato che “allorquando si tratta di diritti umani non possiamo recedere di un millimetro ed abbiamo il dovere di coltivare ogni questione giuridica che porti al loro rispetto. L’auspicio è che il Dap provveda immediatamente a dare attuazione all’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza”.